“Ciò che finisci per ricordare
non è sempre uguale a ciò a cui hai assistito.”[1]
(Barnes, 2011, p. 3)
Vorrei iniziare la mia breve dissertazione proponendo un piccolo esperimento.
Leggete ad alta voce la seguente lista di parole:
- siberia
- brivido
- ghiaccio
- inverno
- caldo
- gelare
- ghiacciato
- antartide
- sciarpa
- brina
- artico
- neve
- umido
- calore
- scaldarsi
Questo esperimento servirà in seguito a farci verificare ciò che più o meno tutti abbiamo notato prima o poi, cioè che la memoria[2] messa in gioco per il richiamo di materiali complessi e significativi è di tipo ricostruttivo[3]; essa tende cioè a tappare - per così dire - i buchi lasciati dalla mancata ritenzione di alcune parole del discorso, con parole prese dal proprio bagaglio mnemonico precedente, allo scopo di lasciare più spazio alla ritenzione del significato complessivo.
È come quando riguardiamo un film dopo tanto tempo e riascoltando le frasi che ci avevano colpiti un tempo esse ci sembrano talvolta un po’ diverse da come le ricordavamo: più precisamente, variano una o più parole ma non il concetto.
Detto in altro modo, il nostro cervello preferisce sfruttare lo spazio che ha a disposizione principalmente per immagazzinare il senso del discorso, riutilizzando il più possibile quello che già ha in memoria per completare la scena. Attraverso questi meccanismi e cioè: “sia ricordando eventi che non sono mai accaduti, o ricordandoli in modo piuttosto differente dal modo in cui sono avvenuti”[4] (Roediger e McDermott, 1995, p. 803) produciamo i ‘falsi ricordi’.
Il primo studioso ad interessarsi dei falsi ricordi fu Frederic Barlett (1932). Egli condusse un esperimento che consisteva nel chiedere a dei soggetti di leggere la leggenda indiana ‘la guerra dei fantasmi’ e successivamente di richiamare i vari elementi del racconto. Il ricercatore notò che un alto numero di tentativi di richiamo produceva distorsioni nel ricordo. Sebbene i suoi risultati, anziché essere replicati, siano stati disconfermati da studi successivi, che hanno mostrato come il ricordo di passaggi in prosa migliori dopo richiami ripetuti, se fra studio e test vengono interposti brevi intervalli (Wheeler & Roediger, 1992), a Barlett va reso il merito d’aver distinto la memoria riproduttiva da quella ricostruttiva.
Seguendo la direzione di Barlett, diversi ricercatori hanno investigato il fenomeno dei falsi ricordi quasi esclusivamente attraverso l’uso di narrazioni, secondo l’ipotesi per la quale il richiamo di materiale complesso (storie, eventi di vita reale) dia luogo a processi di tipo ricostruttivo (generando errori) mentre il richiamo di materiale semplice (liste di parole) dia luogo a processi di tipo riproduttivo (fondamentalmente accurato).
Tra coloro i quali sono andati controcorrente, ricordiamo James Deese (1959), sviluppatore del ‘Paradigma standard di apprendimento di liste’, il quale testò la memoria di liste di parole all’interno di un paradigma di richiamo libero singolo.
Egli era interessato alla comparsa, durante il richiamo libero singolo di liste di parole semanticamente collegate proposte in precedenza, di elementi non presentati. A tale scopo preparò una serie di trentasei liste di parole, ciascuna composta da dodici parole che rimandavano tutte ad un termine assente.
Il ricercatore verificò che solo alcune di queste liste producevano regolarmente nei soggetti il falso ricordo del termine non presentato e suppose che le liste che sortivano effetto fossero quelle che avevano una forza associativa verso l’elemento critico maggiore.
Lo studio dei falsi ricordi venne in seguito quasi del tutto accantonato fino all’ultimo decennio del ventesimo secolo, quando l’interesse riesplose a causa dell’aumento del numero di casi di pazienti che riportavano in terapia ricordi di abusi subiti in età infantile, mai realmente avvenuti.
Va necessariamente ricordato che episodi del genere non erano nuovi alla psicoterapia – almeno a quella d’indirizzo psicanalitico – già da quasi un secolo. Celebre è la lettera che Sigmund Freud scrisse all’amico Wilhelm Fliess in data 21.09.1897, nella quale campeggia la frase “non credo più ai miei nevrotici.”[5] (Freud, 1950, p. 229), che segna la fine della sua ‘teoria della seduzione infantile’, avendo egli compreso che le memorie di abusi sessuali infantili riportate dai suoi pazienti erano solo frutto di fantasia.
Nel 1995 Henry L. Roediger e Kathleen B. McDermott, ripresero ed ampliarono il paradigma di Deese in un lavoro dal titolo ‘Creating False Memories: Remembering Words Not Presented in Lists’, dandogli il nome di ‘Paradigma di Deese-Roediger-McDermott’ (DRM). Il loro scopo era quello di tentare di ottenere i medesimi risultati di Deese riguardo alle intrusioni; risultati ritenuti sorprendenti perché in controtendenza rispetto a tutta una letteratura che affermava la grande accuratezza nel richiamo di liste da parte dei soggetti dopo un solo tentativo. Essi estesero il paradigma di Deese, inserendo anche un test di riconoscimento, allo scopo di unire i due orientamenti sperimentali.
I ricercatori scelsero le sei liste di Deese che producevano i più alti livelli di falsi richiami – sostituendo alcune parole con altre ritenute più efficaci, per misurare non solo i ricordi erronei, ma anche la sicurezza con la quale i soggetti asserivano che tali termini fossero stati presentati. I loro risultati confermarono quelli di Deese: “I risultati riportati in questo articolo identificano una sorprendente illusione della memoria”[6] (ivi, p. 812) e fecero loro concludere che la contrapposizione fra memoria ricostruttiva e riproduttiva non ha fondamento in quanto tutti i ricordi sono di natura ricostruttiva.
Una implicazione più lata del loro lavoro è che il solo asserire in buona fede da parte delle persone di avere ricordi e dettagli di un evento, non implica necessariamente che tale evento sia occorso. In definitiva, la testimonianza umana non è affidabile, perché lo strumento uomo non è rigidamente tarabile.
A cavallo del ventunesimo secolo si è iniziato a cercare una correlazione fra falsi ricordi e tratti di personalità, come auspicato da Quas e colleghi (1997) i quali ritenevano che la conduzione di studi per verificare la relazione fra paradigma DRM e ‘Big Five’[7] sarebbe stata una proficua area di ricerca.[8]
In questo ambito d’indagine, ad esempio Louis C. Sanford e John E. Fisk (2009) dimostrarono che i soggetti estroversi (comparati coi soggetti introversi ed ambiversi) presentavano una quantità più elevata di richiami, sia richiami critici, che altri termini non in lista; mentre Bi Zhu e colleghi (2010) investigando l’eventuale associazione fra caratteristiche di personalità, abilità cognitive e falsi ricordi indotti dalla informazione fuorviante (descrizioni inaccurate), trovarono correlazione positiva dei falsi ricordi con persistenza, auto-direzionalità, coping attivo[9] e correlazione negativa con depressione, paura di valutazioni negative, ricerca di novità, coping passivo[10], ed abilità cognitive. Fu in fine rilevato che i soggetti con bassi punteggi in test di abilità cognitive erano più facilmente influenzabili dagli aspetti interpersonali (cooperatività, evitamento del danno, dipendenza dalla ricompensa, autodirezionalità) dei loro tratti di personalità all’interno del paradigma di informazione fuorviante.
Ed ora torniamo all’esperimento iniziale.
Ricordate d’aver letto ad alta voce una lista di parole?
Bene, sareste in grado di scrivere tutte quelle che ricordate su di un foglio, senza sbirciare?
Appena terminato, controllate se fra le parole riportate ve ne sono alcune non presenti nella lista[11]. Se si, avete appena richiamato un falso ricordo.
BIBLIOGRAFIA:
- Barnes, J. (2011). The sense of an ending. Jonathan Cape. London.
- Bartlett, F. C. (1932). Remembering: A study in experimental and social psychology. Cambridge, England: Cambridge University Press.
- Costa, P. & McCrae, R.R. (1999). A five-factor theory of personality. The Five-Factor Model of Personality. Theoretical Perspectives, 2, pp. 51-87. [12]
- Deese, J. (1959). On the prediction of occurrence of particular verbal intrusions in immediate recall. Journal of Experimental Psycholgy, 58, pp. 17-22.
- Freud, S. (1950). Aus den Anfängen der Psychoanalyse: Briefe an Wilhelm Fliess, Abhandlungen und Notizen aus den Jahren 1887-1902. Imago Publishing. London.[13]
- Gudjonsson, G. H. (2003). The psychology of interrogations and Wiley. Chichester.
- Quas, J. A., Qin, J., Schaaf, J. M., & Goodman, G. S. (1997). Individual differences in children’s and adults’ suggestibility and false event memory. Learning and Individual Differences, 9, pp. 359–370.
- Roediger, H. L. & McDermott, K. B. (1995). Creating false memories: Remembering words not presented in lists. Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition, 21, pp. 803–814. [14]
- Sanford, L.C. & Fisk, J.E., (2009). How Does the extraversion personality trait influence false recall with the Deese-Roediger-McDermott (DRM) paradigm? Journal of Research in Personality, 43, pp. 972-977.
- Wheeler, M. A. & Roediger, H. L., III. (1992). Disparate effects of repeated testing: Reconciling Ballard's (1913) and Bartlett's (1932) results. Psychological Science, 3, pp. 240-245.
- Zhu ,B.; Che, C.; Loftus, E. F.; Lin, C.; He; Q.; Chen, C.; Li, H.; Xue, G; Lu, Z.; Dong, Q. (2010). Individual differences in false memory from misinformation: Personality characteristics and their interactions withcognitive abilities. Personality and individual differences, 48(8), pp. 889 – 894.
[1] Traduzione e adattamento miei de: “What you end up remembering isn't always the same as what you have witnessed.”
[2] Per una definizione di ‘memoria’ e relativi approfondimenti, suggerisco: https://www.treccani.it/enciclopedia/memoria/
[3] Opposta per funzionamento alla memoria ricostruttiva è invece quella riproduttiva (ad esempio la memoria dei computer), la quale riproduce accuratamente e meccanicamente il materiale posto in memoria.
[4] Traduzione mia dell’originale: “either remembering events that never happened, or remembering them quite differently from the way the happened”.
[5] Traduzione mia dell’originale (dalla lettera 69): “Ich glaube an meine Neurotica nich mehr.”
[6] Traduzione mia de: “The results reported in this article identify a striking memory illusion”
[7] A proposito dei Big Five, Robert McCrae e Paul Costa (1999) postulano l’esistenza di cinque grandi dimensioni (Big Five) di personalità: estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale.
[8] È da sottolineare che molti studi sembrano indicare che i fattori cognitivi contribuiscano ai falsi ricordi tanto quanto quelli di personalità (Gudjonsson, 2003).
[9] Coping Attivo: strategie attive che un individuo compie per affrontare le situazioni difficili e/o dolorose.
[10] Coping Passivo: il modo in cui ci si adatta emotivamente ad una situazione difficile.
[11] Ad esempio ‘freddo’.
[12] Collegamento: https://www.researchgate.net/publication/284978581_A_five-factor_theory_of_personality
[13] Collegamento: https://archive.org/details/b3135287x/mode/2up?view=theater
[14] Collegamento: http://psychnet.wustl.edu/memory/wp-content/uploads/2018/04/Roediger-McDermott-1995_JEPLMC.pdf
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