“Primo principio: non ingannare se stessi.
Ma la persona più facile da ingannare siamo proprio noi stessi,
quindi occorre molta vigilanza.”[1] (Feynman, 1988, p. 341)
- COSA HAI RICEVUTO
Noi tutti abbiamo ereditato qualcosa dai nostri antenati.
In ambito biologico, dalle generazioni immediatamente precedenti abbiamo ereditato genotipicamente la maggior parte del nostro D.N.A.[2] e fenotipicamente magari qualche peculiare tratto somatico (il naso del nonno, gli occhi del padre, l’ovale del viso della madre); da quelle molto più antiche – ad esempio i primati ancestrali del Cretaceo o del Paleocene (Brusatte, 2023) – le caratteristiche fisiche che accomunano tutti gli individui della nostra specie.
Scrive Stephen Brusatte: “le mani dalle dita lunghe, i polsi e le caviglie flessibili, i molari dalle cuspidi morbide – sono vestigia dell’epoca in cui i nostri antenati si allungavano verso la punta dei rami per mangiare […] trasformarono gli artigli in unghie piatte, aggiunsero un pollice opponibile e lunghe dita dei piedi all’alluce opponibile e alle dita delle mani dei loro antenati [...] I loro occhi, tondeggianti e rivolti in avanti, vedevano in tre dimensioni e, in certi casi, a colori. Occhi e cervello più grandi e naso atrofizzato produssero una faccia più piatta e meno allungata.”[3] (ivi, pp. 404-406)
In ambito psicologico, abbiamo ereditato dei tratti di personalità[4] e degli istinti[5].
Dal punto di vista della personalità, dei cinque grandi tratti comuni a tutto il genere umano, individuati dal modello ‘Big five’ (Costa e McCrae, 1980) - apertura; coscienziosità; estroversione; gradevolezza; neuroticismo – il grado di estroversione (apertura o meno alle novità) e neuroticismo (sicurezza e stabilità emotiva e viceversa) sarebbero il risultato dell’azione dei cromosomi materni, più che di quello che ella fa o dice al bambino (Magrini, 2020).
Judith Harris[6] (1998) sostiene che la propensione che ciascuno di noi ha verso ad esempio la lettura o lo sport, se la condividiamo coi nostri genitori, è più perché essa ci è stata trasmessa geneticamente che col comportamento.
Dal punto di vista istintivo, abbiamo ereditato dai nostri antichi progenitori una serie d’istinti[7] legati alla sopravvivenza, fra i quali l’intolleranza, in tenera età, alla frustrazione dei bisogni, che si traduce nel pianto[8] (Lowen, 2022); la spiccata socialità (Girotto et al., 2021) e l’affascinante fenomeno del ‘breast crawl’[9], ossia il movimento istintivo che compiono i cuccioli di mammifero (umani inclusi), quando appoggiati sul ventre materno, verso il capezzolo, per nutrirsi (Porter e colleghi, 2001).
Ancora, sin da piccolissimi, dimostriamo di avere dimestichezza con alcune leggi fisiche. I bambini sani mostrano l’abilità, quando iniziano a gattonare, di percepire la profondità ed evitare i precipizi (Gibson e Walk, 1960)[10]; sanno distinguere se un oggetto è animato o inanimato ed appaiono stupiti quando posti di fronte a scene che violano le loro aspettative rispetto alla caduta degli oggetti (Girotto et al., op. cit.).
Questa capacità però ha un rovescio della medaglia. Scrivono Girotto, Pievani e Vallortigara: “Se gli oggetti senza supporto cadono, allora un omino di plastica non può rimanere in piedi sulla parte inferiore di un palloncino. A meno che non gli mettiamo un po’ di colla alla base, quell’omino cadrà. Deve esser questo, più o meno, il ragionamento che fino agli otto o nove anni porta molti bambini a rifiutare la nozione che la terra non è piatta, ma sferica, e che è circondata da uno spazio senza confini” (ivi, p.43)
Una caratteristica che sembra comune ai bambini neurotipici è la tendenza precoce a vedere il mondo in termini di scopi ed intenzioni. Essi attribuiscono finalità tanto ai prodotti dell’ingegno umano (‘il coltello è per tagliare), quanto al mondo naturale (‘il sole è per la luce’; ‘la mano è per mangiare) (Kelemen, 2003). Ciò fa sì che noi tutti, fino almeno all’età di 11-13 anni, siamo dei ‘creazionisti’ refrattari alle spiegazioni di tipo evoluzionistico[11] (Girotto et al., op. cit.), per i quali tutto è stato progettato da una intelligenza superiore per uno scopo.
In pratica, ragioniamo come il precettore Pangloss[12] nel ‘Candide’ di Voltaire: “È dimostrato, diceva – che le cose non possono essere altrimenti: poiché tutto, essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per il miglior fine. Notate che i nasi sono stati fatti per indossare gli occhiali e pertanto abbiamo gli occhiali. Le gambe sono ovviamente progettate per essere calzate e abbiamo le scarpe. Le pietre sono state formate per tagliarle, e per fare castelli, anche il mio signore ha un castello molto bello; il più grande barone della provincia deve essere il meglio alloggiato; ed essendo i maiali fatti per essere mangiati, noi mangiamo carne di maiale tutto l'anno”[13] (Voltaire, 1759, pp. 3-4)
La propensione al credere, così come a ritenere che la terra sia piatta, sono dunque esito di attività mentali istintive in noi, selezionate positivamente nel corso dell’evoluzione per altri scopi[14], che oggi non dobbiamo per lo più perseguire[15].
In ambito sociale, abbiamo ereditato la cultura, cioè lo stile di vita di uno specifico gruppo di persone in un dato momento storico (Cambridge Dictionary, s.d.) ed in particolare il modo in cui la famiglia all’interno della quale siamo cresciuti la declina.
Ognuno di noi è il prodotto dell’incontro di queste tre eredità: biologica; psicologica; sociale. È il modo in cui esse si uniscono ed interagiscono a produrre ogni individuo nella sua unicità, secondo la classica regola “la totalità è più/più grande della somma delle sue parti.”[16] (Levi e Levine, 2012, p. 7) e a determinarne la condizione di salute (Engels, 1977). Da questa mescolanza d’ingredienti nasce la nostra personalità; da essa sorge la coscienza di noi stessi (Zeman, 2001).
- COSA CI HAI FATTO
Ogni individuo è dunque frutto di questi lasciti, i cui effetti non sono però delle condanne senza appello.
Va segnalato che Il D.N.A. di ciascuno di noi è per la maggior parte, ma non del tutto, ereditato in misura pari dal padre e dalla madre biologici: per ciascun individuo, infatti, avvengono, in fase embrionale, delle mutazioni casuali che lo modificano parzialmente[17] (Centorrino, 2022). Inoltre, l’epigenetica (Levi, 2015) ci insegna che, a parità di D.N.A., diverse condizioni ambientali possono dare il via a differenti espressioni dei geni.
Abbiamo ricordato uno degli istinti più utili alla sopravvivenza dei neonati: il pianto. Eppure i neonati che vivono negli orfanotrofi imparano a non piangere, perché nessuno li accudisce quando lo fanno[18] (Rex, 2016).
L’esperimento del precipizio visivo (Gibson e Walk, op. cit.) ha mostrato che i bimbi già molto piccoli percepiscono la profondità e che evitano di percorrere un piano trasparente sotto al quale si vede a grande distanza il pavimento, eppure molti di essi lo percorrono se oltre quello che essi ritengono il baratro, un loro genitore tende le mani e li incoraggia ad andargli incontro.
Abbiamo visto che i bambini credono istintivamente che la terra sia piatta, ma Michael Siegal e colleghi (2004) hanno mostrato come, grazie ad un contesto culturale favorevole e ad un’educazione scientifica precoce, i bambini australiani comprendano facilmente che, grazie alla forza di gravità, la gente può vivere su tutto il pianeta, ancorché esso non sia piatto. Allo stesso modo, sebbene i bambini nascano già predisposti alle credenze, è l’intervento del loro ambiente sociale, in particolare di chi si prende cura di loro, a rinforzarle oppure contrapporvisi (Girotto et al., op. cit.).
La nostra mente, infatti, sin dalla più tenera età è profondamente radicata nel corpo (sé), nel tempo (ora) e nello spazio (qui) ed assolve alla sua funzione di guida di azione ed interazione, raccogliendo continuamente dati interni ed esterni per valutare ciò che è corretto fare (Shapiro, 2010), in un’ottica di sopravvivenza.
Essa apprende, cioè modifica in modo relativamente stabile il proprio comportamento, attraverso l’esperienza ripetuta (Anolli e Legrenzi, 2012), sia diretta – tramite i concetti che le vengono insegnati e le attività pratiche nelle quali si cimenta – sia indiretta, per mezzo dell’osservazione e l’esempio altrui (Perino, 2022).
Pur essendo entrambi questi tipi di apprendimento utili in ogni stagione della vita, i bambini fino a tre anni sono particolarmente legati all’apprendimento indiretto, sfruttano l’ambiente per imparare e migliorare se stessi, e si concentrano più sulle azioni che compiono che sul risultato atteso; mano a mano che si cresce e si diventa adulti, si punta più al fine ed al miglioramento dell’ambiente a proprio vantaggio (ivi).
Ciò che è più rilevante è che i nuovi apprendimenti, una volta acquisiti - e fino a che non saranno eventualmente modificati - si uniscono al nostro bagaglio interiore, contribuendo ad un certo modo di vedere ed agire nel mondo del tutto inconscio e spontaneo: una sorta di pilota automatico che ci condiziona senza che ne siamo consapevoli, nelle nostre valutazioni, scelte ed azioni (Piaget, 1963).
Questo pilota automatico viene chiamato da Giovanni Ariano (2019) ‘sé simbolico spontaneo’, e rappresenta ciò che rende ogni individuo funzionale, cioè in grado di interagire in modo vantaggioso con l’ambiente nell’esperienza immediata. Il suo contraltare è il ‘sé simbolico riflesso’, ovvero quella parte di noi che entra in gioco quando riflettiamo sul nostro modo spontaneo di funzionare, e ne analizziamo l’effettiva funzionalità in relazione ai nostri obiettivi[19].
- COSA CI FARAI
Ciascuno di noi è pertanto sintesi di una storia bio-psico-sociale, in cui il modo di rispondere dell’organismo si è forgiato e modificato per sopravvivere. Ma, come l’assenza di malattia[20] è condizione necessaria ma non sufficiente alla salute (World Health Organization, 1998) allo stesso modo, l’assenza di morte non equivale da sola allo stare vivendo una vita piena e consapevole.
Non tutti gli ambienti, le culture, le famiglie, insegnano e richiedono le stesse risposte comportamentali, questo poiché l’aderenza al senso di realtà e la tendenza a comportamenti sani possono variare anche di molto fra un paese, una comunità, un nucleo familiare e l’altro: il risultato è che, dal punto di vista spontaneo, gli adattamenti funzionali alla sopravvivenza dell’individuo in un dato contesto, possono risultare del tutto insufficienti in un altro e, dal punto di vista riflesso, essi possono addirittura essere valutati come disfunzionali.
Ne consegue che, se ci troviamo ad affrontare sfide al di fuori dell’ambiente che conosciamo – o se quello stesso ambiente per qualche ragione si modifica - il nostro modo di farvi fronte può risultare insufficiente o addirittura controproducente, e questo disadattamento, se non siamo in grado di rispondere alle nuove condizioni, può tradursi in malessere psicologico, perfino e soprattutto se la nuova situazione è più sana ed equilibrata di quella di partenza.
Immaginate di essere cresciuti in una palude, all’ombra di cupi alberi, fra fanghiglia, aria mefitica ed acqua salmastra. Se un giorno veniste trasportati presso un ruscello, in una radura, esposti alla luce del sole e all’acqua fresca, la maggior parte di voi – di noi – resterebbe quanto meno sbalordita.
Immaginate ancora, dopo lo spaesamento iniziale, di trovare questo nuovo luogo assai gradevole e che vi venisse spiegato, in modo chiaro e circostanziato, quanto la radura sia assai più salubre della palude: il vostro sé riflesso potrebbe concordare facilmente, ma il vostro sé spontaneo forse no, o almeno non subito.
Il comportamento del simbolico spontaneo, infatti, è più simile all’antico adagio: “Chi lascia la via vecchia p’ la nuova. Spesse volte ingannato si ritrova”[21] (Pescetti, 1603, p. 27), e talvolta – comprensibilmente – può essere piuttosto recalcitrante di fronte alla volontà riflessa di cambiamenti.
Esso ha infatti investito tutte le sue energie per assicurarci la sopravvivenza, adattandosi a delle specifiche regole ambientali e plasmando il proprio modo di vedere ed incontrare il mondo e poi, ad un certo punto il simbolico riflesso gli chiede di ripensare, in misura più o meno importante, la sua visione delle cose e di spostare conseguentemente energie in nuovi apprendimenti: ciò è piuttosto facile da realizzare quando si è molto piccoli, ma diviene mano a mano più complicato e faticoso col crescere e col dare per scontate certe cose.
Tante possono essere le complicazioni e la fatica di cambiare, che semplicemente il nostro sé spontaneo continua a comportarsi per lo più alla vecchia maniera, mentre il nostro sé riflesso trova ragionevole il cambiamento: da questo conflitto fra proposito ed azione nasce la sensazione che abbiamo di ‘autosabotarci’.
Quando ci lamentiamo con noi stessi perché commettiamo sempre gli stessi errori, ricerchiamo sempre lo stesso tipo di relazioni amorose, amicali, lavorative, pur sapendo come andrà a finire e ci sentiamo come bloccati: ecco, in quei momenti si è reso particolarmente evidente il conflitto fra la parte che si vuole adattare alla radura, bella, salubre e sconosciuta, e quella che vorrebbe tornare nella vecchia palude, malsana ma nota.
Per poter uscire da questa sorta di vicolo cieco – da questa impasse – bisogna prima di tutto dedicare del tempo a conoscersi, per comprendere ed analizzare quegli elementi costitutivi della nostra visione del mondo tanto antichi nella costruzione della nostra persona da non averli mai analizzati ed eventualmente messi in discussione.
Scrive Gustave Le Bon: “Dietro le cause confesse dei nostri atti, vi sono senza ombra di dubbio alcune cause segrete che non confessiamo, ma dietro queste cause segrete ve ne sono molte ancor più segrete, che noi stessi ignoriamo. La gran parte delle nostre azioni quotidiane è soltanto l’effetto di fattori nascosti che ci sfuggono.” (2019, p. 42)
Dopo aver individuato la radice delle nostre resistenze, dobbiamo decidere come vogliamo affrontare quanto abbiamo scoperto: in modo incrementale o entitario.
Secondo Carol Dweck (2006), ideatrice della teoria entitaria ed incrementale dell’intelligenza, chi possiede una visione incrementale, pensa che l’intelligenza sia dinamica e che pertanto possa essere sviluppata, con volontà, impegno e senso di realtà: in altre parole, non bisogna illudersi che tutti possano fare tutto e che basti volere un cambiamento per realizzarlo (Minoliti, 2019).
La visione entitaria, al contrario, parte da una prospettiva statica: le caratterisitche dell’intelligenza sarebbero innatisimo, fissità ed immutabilità. Gli obiettivi di chi ha questa forma mentis sono legati al portare a termine una prestazione piuttosto che acquire padronanza nel farlo: un po’ come quando si studia per una interrogazione con l’obiettivo di superarla, anziché di comprendere ciò che si sta studiando.
Se scegliamo di voler aderire ad una visione entitaria, che spontaneamente già andassimo in quella direzione o meno, allora ci giudicheremo dei falliti, perché fino ad ora non siamo riusciti a cambiare; al contrario, una visione incrementale ci farà vedere gli errori che abbiamo commesso e che commetteremo come una opportunità di crescita (Abramson et al., 1989).
Una visione entitaria ci darà la possibilità di rifugiarci nella comodità dell’autocommiserazione di chi è stato destinato al fallimento e quindi non può fare altro: in quest’ottica gli sforzi sono inutili, la rassegnazione è bene accetta, e si possono dedicare i propri pensieri a biasimare se stessi o un destino crudele, per essere ‘difettati’[22].
La visione incrementale ci farà cercare in ogni situazione, anche la peggiore, di imparare qualcosa sulle nostre capacità, su come fronteggiamo le situazioni e stiamo in relazione con noi stessi, gli altri ed il mondo, per poi farne tesoro: in quest’ottica, ogni sforzo compiuto con senso di realtà non è mai vano, ed i propri pensieri sono volti al miglioramento di se stessi ed al plasmare il proprio destino.
Entrambe queste visioni susciteranno la loro quota di dolore, nel primo caso sarà per la stasi e si autoalimenterà in un circolo vizioso; nel secondo caso sarà un dolore per la crescita, che porterà sempre a nuove conquiste.
Scoperta la radice delle nostre resistenze ed individuata la modalità con la quale vogliamo affrontarle, potremo procedere ad intervenire: piangerci addosso o rimboccarci le maniche.
Se sceglieremo di rimboccarci le maniche, saremo confortati dalle evidenze scientifiche. Scrive Marco Magrini: “L’idea che il carattere, il talento, le capacità siano statiche nell’arco di un’esistenza è del tutto infondata. Coltivare al contrario l’idea che il carattere si può migliorare, il talento si può coltivare, le capacità si possono accrescere e, andando avanti, che le abitudini sgradite si possono correggere o che una nuova lingua si può sempre imparare apre nuovi orizzonti ai possessori di un cervello funzionante e intelligente come il suo.” (op. cit., p. 75)
Darci da fare significherà richiamare alla mente come ci siamo comportati nelle varie situazioni che ci hanno prodotto disagio, verificare se è comune allo stesso tipo di situazioni e provare a comprendere l’utilità che spontaneamente potevamo trarne.
Dovremo comportarci come dei piccoli psicoterapeuti di noi stessi, rivivendo i ricordi ed analizzandoli, in modo da rendere i collegamenti all’interno del nostro cervello (sinapsi) che li riguardano meno stabili, così da poter bloccare l’automatismo delle vecchie risposte e cercare la possibilità di analizzarne di nuove, costruendo nuovi collegamenti più adatti al momento attuale (Vetere, 2023).
Sarà utile ricordare che – come abbiamo visto – il nostro stare al mondo è condizionato dalla nostra storia, una storia che non va negata, perché ci ha condotti dove stiamo; ciò che fa la vera differenza è cosa ce ne facciamo di quella storia: conoscerla sempre meglio e sempre di più per sapere quanto ci condiziona e dove modificarci per il futuro; non interessarcene, condannandoci a ripetere gli stessi comportamenti per i quali ci lamentiamo; valutarla come un destino ineluttabile e restare in un circolo vizioso di lamentela e disimpegno.
Scrive Viktor Frankl: “La libertà dell’uomo non è libertà da condizionamenti, ma piuttosto libertà per prendere un atteggiamento in qualunque condizione ci si possa trovare.”[23] (Frankl, 1994, p. 32)
Si tratterà, in definitiva, di interessarci a noi stessi come ci si può interessare ad un bel romanzo, studiandoci con l’attenzione e la serietà di chi affronta un manuale universitario dal quale vuole realmente imparare le basi per praticare un mestiere, quello di vivere, così bistrattato ultimamente.
Facciamoci su noi stessi tante – tantissime – domande, e ragioniamo sulle possibili risposte partendo dal presupposto che ‘non siamo sbagliati ’ ma, come tutti, ‘abbiamo problemi’. Se poi queste risposte fossero davvero molto difficili da trovare, pensiamo all’opportunità di investire le nostre risorse nel lavoro con uno psicoterapeuta.
BIBLIOGRAFIA
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- Anolli, L. & Legrenzi, P. (2012). Psicologia Generale. Quinta edizione dell’originale (2001). Il Mulino. Bologna.
- Ariano, G. (2019). Diventare psicoterapeuta. Sipintegrazioni. Napoli
- Brusatte, S. L. (2023). Ascesa e trionfo dei mammiferi: Dal tramonto del regno dei dinosauri fino a noi. Traduzione italiana a cura di Luca Fusari e Sara Prencipe dell’originale ‘The rise and reign of the mammals’ (2022). Milano.
- Costa, P. T. & McCrae, R. R. (1980). Influence of extraversion and neuroticism on subjective well-being: Happy and unhappy people. Journal of Personality and Social Psychology, 38(4), pp. 668-678.
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- Harris, J. R. (1999). The nurture assumption: Why children turn out the way they do. Touchstone. New York.
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- Voltaire (1759). Candide, ou l’Optimisme. Traduit de l’allemand de M. Le Docteur Ralph. La Sirène. Paris.[26]
- Zeman, A. (2001). <<Consciousness>>. Brain, a journal of neurology. 124, pp. 1263-1289.[27]
SITOGRAFIA
- Cambridge Dictionary (s.d.). Culture.[28]
- Centorrino, F. (2022). Mutazioni del DNA (dicembre 19, 2022). Microbiologia Italia.[29]
- Levi, A. (2015). Epigenetica. Treccani. [30]
- Rex, H. (2016). 12 Christmas stories: Silence, No. 7. Orphanage Support Services Organization. December 19, 2016.[31]
- World Health Organization (1998). Health Promotion Glossary. 98 (01). Printed in Swizerland.[32]
[1] Traduzione dell’originale inglese a cura di Sylvie Coyaud.
[2] Acido desosiribonucleico (‘Desoxyribose Nucleic Acid’ in lingua inglese), ereditato in misura pari per via paterna e materna, rappresenta il progetto sulla base del quale ogni organismo si costruisce e ripare nel tempo. Per approfondimenti, suggerisco: https://www.sapere.it/enciclopedia/DNA+o+ADN.html
[3] Traduzione dell’originale inglese a cura di Luca Fusari e Sara Prencipe.
[4] Per approfondimenti, suggerisco: https://www.stateofmind.it/2016/02/big-five-personalita/
[5] Per approfondimenti, suggerisco: https://www.treccani.it/vocabolario/istinto/
[6] Per approfondimenti, vedi: https://judithrichharris.info/tna/devpsyjh.htm
[7] Per approfondimenti sugli instinti degli infanti, suggerisco:
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4496551/
- https://familydoctor.org/newborn-reflexes-behavior/#:~:text=Newborn%20reflexes%20include%3A%201%20Rooting%20reflex.%20This%20is,Galant%20%28truncal%20incurvation%29%20reflex.%20...%208%20Trembling.%20
[8] Le gestione della furstrazione comincia solo quando si acquisisce la capacità di controllo motorio.
[9] Per approfondimenti, suggerisco: https://www.uppa.it/istinto-neonato/
[10] Come dimostrato con l’esperimento del ‘precipizio visivo’ (‘Visual cliff’ in lingua originale). Per approfondimenti, suggerisco: https://www.simplypsychology.org/visual-cliff-experiment.html
[11] Per approfondimenti, suggerisco: Evans, E.M. (2000). The emergency of beliefs about the origin of species in school-age children, in Merrill-Palmer Quarterly, 46, pp. 19-52.
[12] Personaggio ispirato al filosofo Leibniz.
[13] Traduzione mia dell’originale: “Il est démontré, disait-il, que les choses ne peuvent être autrement: car, tout étant fait pour une fin, tout est nécessairement pour la meilleure fin. Remarquez bien que les nez ont été faits pour porter des lunettes, aussi avons-nous des lunettes. Les jambes sont visiblement instituées pour être chaussées, et nous avons des chausses. Les pierres ont été formées pour être taillées, et pour en faire des châteaux, aussi monseigneur a un très beau château; le plus grand baron de la province doit être le mieux logé; et, les cochons étant faits pour être mangés, nous mangeons du porc toute l’année”
[14] Per approfondimenti, suggerisco (in particolare, min. 12:16-14:55): https://www.youtube.com/watch?v=3a9O0hXgMZE&themeRefresh=1
[15] Si noti che faccio riferimento alle credenze, non all’esistenza o meno dei soggetti di tali credenze che, in quanto appartenenti al mondo sovrannaturale, esulano dall’indagine scentifica, la quale attiene al solo mondo naturale.
[16] Traduzione e adattamento miei dell’originale: “the whole is more/greater than the sum of its parts.”
[17] Per approfondimenti, suggerisco: https://mutagens.it/informati/mutazioni-spontanee-e-indotte/
[18] Per approfondimenti, suggerisco:
- https://www.telegraph.co.uk/health-fitness/body/babies-suffer-silence-overseas-orphanages-damaging-children/
- https://www.linkedin.com/pulse/babies-orphanage-growing-up-silence-antoine-deliege-phd
[19] Per approfondimenti, suggerisco:
- Ariano, G. (1997). La psicoterapia d’integrazione strutturale: 1. Epistemologia. Ed. Armando. Roma.
- Ariano, G. (2000). Diventare uomo: 2. L’antropologia della psicoterapia d’integrazione strutturale. Ed. Armando. Roma.
- Ariano, G. (2005). Dolore per la crescita: Antropologia della psicoterapia d’integrazione strutturale. Ed. Armando. Roma.
[20] Nello ‘Health Promotion Glossary’ viene riportata la definizione dell’O.M.S. di salute: “Uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non semplicemente l'assenza di malattia o infermità.” (1998, p. 1). Traduzione mia dell’originale: “A state of complete physical, social and mental well-being, and not merely the absence of disease or infirmity.
[21] Si veda (p. 27): https://books.google.it/books?redir_esc=y&hl=it&id=oZRYAAAAcAAJ&q=via+vecchia#v=onepage&q=Chi%20lascia%20la%20via%20vecchia%20p%20la%20nuoua&f=false
[22] Forma antica ed oggi rara di ‘difettoso’, che però trovo più efficace nell’effetto, rispetto alla forma più comunw, grazie al suono meno arrotondanto.
[23] Traduzione italiana di Vincenzo Chiaffitelli.
[24] Collegamento: https://pdfroom.com/books/mindset-the-new-psychology-of-success/Pe5xQzMWdnN
[25] Si vedano, in particolare, ‘Part II’ (capitoli III e IV) e ‘Conclusions’ (‘The theory of Assimilation’).
[26] Collegamento alle pagine 3 e 4: https://books.google.it/books?id=1NMOAAAAIAAJ&printsec=frontcover&vq=demontr%C3%A8&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q=%E2%80%9CIl%20est%20d%C3%A9montr%C3%A9%2C%20disait-il%2C%20&f=false
[27] Collegamento (vedi in particolare pp. 1265-1266):
https://www.researchgate.net/publication/11932227_Consciousness
[28] Collegamento: https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/culture
[29] Collegamento: https://www.microbiologiaitalia.it/didattica/mutazioni-del-dna-puntiformi-cromosomiche-genomiche/
[30] Collegamento: https://www.treccani.it/enciclopedia/epigenetica_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[31] Collegamento: https://www.orphanagesupport.org/blog/silence-in-the-orphanages
[32] Collegamento: https://www.who.int/publications/i/item/WHO-HPR-HEP-98.1
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