“Riconoscere l’altro giacché persona
significa essere responsabili nei suoi confronti.”
(Caschera e Savino, 2020, p. 65)
Un tempo, quando i costi, la paura, le distanze – fra le varie cause – impedivano di rivolgersi ad un professionista della salute, le informazioni sui propri dolori fisici e mentali si reperivano chiedendo a chi praticava le arti magiche e le cure tradizionali, o a chiunque potesse risultare più sapiente in funzione di una istruzione al di sopra della media, seppure non nel campo della salute, come maestri e sacerdoti.
Quando l’invenzione della stampa a caratteri mobili permise di abbattere i costi di realizzazione dei libri, i dotti trattati medici del passato – insieme ai testi contemporanei – divennero più facilmente accessibili: nei secoli successivi biblioteche pubbliche ed alfabetizzazione di massa fecero il resto.
Nel racconto umoristico del 1899 ‘Tre uomini in barca’ (Three men in a boat), leggiamo: “Ricordo di essermi recato un giorno al British Museum per documentarmi sulla cura di un lieve disturbo di cui avevo avuto un accenno: febbre da fieno, mi pare. Presi il libro e lessi tutto quello che ero venuto a leggere; e poi, in un momento di spensieratezza, voltai pigramente i fogli e cominciai a studiare indolentemente le malattie, in generale. Non ricordo quale sia stato il primo disturbo in cui mi imbattei - un flagello spaventoso e devastante, lo so - e, prima di aver dato un'occhiata alla metà dell'elenco dei ‘sintomi premonitori’, mi resi conto chiaramente d’averlo preso. Rimasi seduto per un po', raggelato dall'orrore; e poi, nell'apatia della disperazione, sfogliai di nuovo le pagine. Arrivai alla febbre tifoide – lessi i sintomi – scoprii di avere la febbre tifoide, dovevo averla avuta per mesi senza saperlo – mi chiesi cos'altro avessi; scoprii Il ballo di San Vito - scoprii, come mi aspettavo, di avere anche quello, - iniziai a interessarmi al mio caso, e decisi di vagliarlo fino in fondo, e così iniziai in ordine alfabetico - lessi la febbre malarica e seppi che me ne stavo ammalando, e che la fase acuta sarebbe iniziata entro una quindicina di giorni. La malattia di Bright, fui sollevato nello scoprire che avevo solo una forma modificata e, per quel che mi riguardava, potevo vivere per anni. Avevo il colera, con gravi complicazioni; e la difterite con la quale mi sembrava di essere nato. Procedetti lentamente e coscienziosamente attraverso le ventisei lettere, e l'unica malattia che potei concludere di non avere fu il ginocchio della lavandaia.”[1] (Jerome, 1993, pp. 5-6)
Oggigiorno siamo nel bel mezzo di una nuova rivoluzione; il canale preferenziale per la raccolta d’informazioni sulla propria salute è divenuto, infatti, Internet[2]: stando al 56° Rapporto Censis (2022), circa il 67% degli italiani cerca informazioni riguardo alla propria salute in rete.
In particolare, il noto motore di ricerca Google gode di un’ottima fama fra i non addetti ai lavori, tanto da valergli comunemente il soprannome di Dottor Google[3].
Basta digitare i nomi dei sintomi che si hanno o che si ritiene di avere, ed ecco apparire un elenco di siti sui quali trovare tutto e, talvolta, il suo contrario. Il problema, in questo caso, è quello di saper analizzare in modo critico le informazioni alle quali si ha accesso.
Il rischio è di dare per scontato che solo perché una cosa si può trovare in rete, essa debba necessariamente essere vera, soprattutto nel delicato ambito della salute (Frezza, 2021).
Purtroppo la mancanza di preparazione nell’ambito della logica e del pensiero critico, più ancora che nelle discipline mediche e psicologiche, unita alla scarsa lucidità di chi, in un momento di preoccupazione per le proprie condizioni fisiche e/o mentali, si rivolge ad Internet per documentarsi, rischiano di minare seriamente la capacità di contestualizzare ed interpretare i dati (Crepaldi, 2022).
Grazie all’abbondanza di informazioni, spesso il paziente arriva in studio ‘esperto’: piuttosto che altre informazioni egli desidera rinforzi e chiarimenti. Soprattutto egli necessita di entrare in relazione con un altro essere umano al fine di essere ascoltato riguardo al significato che per lui assume la sua malattia ( Ardis e Marcucci, 2013).
Soddisfare tale necessità risulta però complicato. Alla facilità d’interazione con la rete, infatti, spesso fa da contraltare la difficoltà del sofferente di relazionarsi col personale sanitario, che ritiene o un alto consesso, depositario di un sapere superiore, al quale egli non ha la possibilità di accedere (Caschera e Savino, 2020) o, nel caso delle professioni psicologiche, una congerie di incompetenti poco efficaci, il cui giudizio ricorda quello del passaggio del racconto fantascientifico ‘Blind Alley’[4]: “La maggior parte di loro sono ciarlatani. Gli psicologi segnalano i problemi, ma le loro soluzioni sono fallaci.”[5] (Asimov, 1990, p. 51)
In entrambi i casi, questa visione, legata probabilmente ad un’interpretazione ormai sorpassata di ‘cura’ intesa come atto di curare una malattia (approccio biomedico)[6], mette distanza fra il paziente ed il professionista, mentre oggigiorno ‘cura’ si riferisce al prendersi cura della persona (approccio bio-psico-sociale)[7] (Caschera e Savino, op. cit.): il modello biomedico d’intervento, detto ‘disease-centred care’ è stato sostituito dal ‘patient-centred care’[8] (Cipolla, 2003).
Nel ‘patient centred care’ , ritenuto da Kathleen A. Long (2003) la base fondamentale della formazione dei professionisti sanitari, il paziente e la sua relazione col professionista sono posti al centro, poiché l’assistenza è eminentemente un fatto relazionale[9] (D’Angelo, 2004) ed un ruolo importantissimo è rivestito dalla ricerca del vissuto e della rappresentazione che il paziente ha del suo disagio (Caschera e Savino, op. cit.).
La relazione professionista-paziente è detta ‘relazione d’aiuto’. In particolare, nell’ambito della psicoterapia[10], la disciplina che fa di questo tipo di relazione il suo fulcro, essa può essere definita come un rapporto consapevole, controllato ed intenzionale nel quale una persona competente – lo psicoterapeuta – si attiva per aiutarne un’altra nella sviluppo della consapevolezza, del senso di realtà e della capacità di scelta responsabile (Rogers, 2012).
Lo psicoterapeuta basa la costruzione ed il mantenimento di questa relazione su tre capisaldi imprescindibili: empatia; congruenza; accettazione positiva incondizionata. L’empatia è la capacità, da parte del professionista, di mettere momentaneamente da parte il proprio mondo interiore, per mettersi nei panni del cliente e recepirne la condizione emotiva e cognitiva. La congruenza è la capacità del professionista, dopo aver empatizzato, di ritrovare attenzione verso il proprio mondo interiore, facendo caso ai propri vissuti all’interno della relazione, per poterli sfruttare e gestire. L’accettazione positiva incondizionata consiste nel riconoscere l’unicità della persona che si ha di fronte nella sua totalità, coi suoi pregi e difetti, la sua sofferenza e la sua specifica visione del mondo, senza giudizi morali (Rogers, op. cit.).
Empatia, congruenza ed accettazione implicano la capacità, da parte del professionista, di poter entrare in relazione profonda col cliente, rispettando i propri confini mentali e quelli di quest’ultimo, senza confondere l’origine e l’appartenenza di emozioni, bisogni e stati d’animo[11] (Caschera e Savino, op. cit.).
Da parte dello psicoterapeuta tale capacità è possibile poiché la sua formazione, oltre agli aspetti teorico-pratici della professione, è stata dedicata anche alla conoscenza di se stesso, dei propri modi di pensare, comportarsi, stare in relazione.
Se, come asseriva Michael Kahn (2001) la relazione terapeutica è la parte più importante della terapia, la sua costruzione deve essere avviata e condotta da un essere umano competente, non già demandata alla buona volontà personale o, peggio, instaurata con una macchina.
Cercare in rete un responso o delle cure dopo aver inserito un elenco di sintomi percepiti, fornirà il nome di una malattia e/o dei consigli per agire sui sintomi. Altra cosa è l’incontro col professionista, un essere umano in carne ed ossa, formato per incontrare nel modo più sano possibile il cliente nella sua totalità e nell’aiutarlo a ricercare il problema che sta alla base della sua sofferenza: l’interazione cliente-rete è incentrata sulla malattia; l’interazione cliente-psicoterapeuta sul cliente e la relazione.
Per questa ragione è opportuno rivolgersi ad uno psicoterapeuta quando possibile, con funzione di prevenzione, sostegno o cura, e quando non è possibile, tentare di stare con se stessi e sforzarsi di comprendersi, cercando i problemi che generano malessere, anziché affidare il proprio benessere al World Wide Web[12].
Per questa medesima ragione, è quanto meno opportuno diffidare da chi pretende di instaurare una relazione d’aiuto e prendersi cura di noi nei nostri momenti di sofferenza senza avere una opportuna preparazione.
Per quanto, infatti, la magia, certe tradizioni di cura ‘alternative’ e le pseudoscienze[13] possano risultare a tutta prima piuttosto affascinanti, soprattutto per chi, pur avendo tempo e denaro da investire in favore della propria salute mentale, nutre un forte preconcetto verso la scienza, le persone che si dichiarano competenti in queste materie, non essendo le loro professioni riconosciute, seguono percorsi – quando ne seguono – assai disparati per la propria formazione, senza un controllo, una tutela ed una garanzia ufficiali del proprio apprendimento, né convalida scientifica dei risultati che sostengono di ottenere.
Dopo aver riconosciuto un malessere, il primo passo della cura dovrebbe sempre essere prendersi abbastanza cura di sé da affidarsi ad un professionista accreditato, e rifuggire da alternative pericolose, non già perché ‘i poteri forti’ lo dicono, ma perché la buona volontà nella relazione d’aiuto non è sufficiente, occorre studio, occorre lavoro su se stessi, occorre tecnica, ed occorre che tutto ciò sia messo alla prova e verificato.
BIBLIOGRAFIA
- Ardis, S. & Marcucci, M. (2013). La comunicazione sanitario-paziente. Aonia (Lulu Press). Raleigh (NC).
- Asimov, I. (1990). The complete stories. Volume 2. Doubleday. New York.
- Caschera, A. & Savino, S. (2020). Educare alla salute: Manuale di Pedagogia Generale e Sociale per le professioni sanitarie. SaMa. Roma.
- Censis (2022). 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2022. FrancoAngeli. Roma.
- Cipolla C. (2003). La professionalità del care Franco Angeli. Milano.
- Crepaldi, M. (2022). Il fenomeno degli INCEL e la teoria Redpill. Independently published/Ediuni Edizioni. Cagliari.
- D’Angelo, V. (2014).M ondi digitali e mondi della cura: l’impatto delle tecnologie sulla professione infermieristica’[14]. In Cipolla, C. & Maturo, A. (a cura di). Sociologia della salute e web society. Milano.
- Jerome, J. K. (1993) Three men in a boat. To say nothing of the dog. First publishing 1899. Wordsworth Ed. Hertfordshire.
- Kahn, M. (2001). Between Therapist and Client: The new relationship (Revisited edition). Edizione originale 1991; prima edizione rivisitata 1997. Henry Holt & Company. New York.
- Long, K. A. (2003). The institute of Medicine report on health professions education: A bridge to quality. Policy Politics & Nursing Practice, 4(4), pp. 259-262.
- Rogers, C. R., (2012), Client-centered therapy. New edition of the original work (1951). London.[15]
VIDEOGRAFIA
- Frezza, G. (2021). Dottor Google ha complicato il rapporto tra medici e pazienti: <<Impossibile scardinare convinzioni lette online>>. 14 Luglio 2021, 14:37. Sanità Informazione.[16]
[1] Traduzione e adattamento miei dell’originale: “I remember going to the British Museum one day to read up the treatment for some slight ailment of which I had a touch – hay fever, I fancy it was. I got down the book, and read all I came to read; and then, in an unthinking moment, I idly turned the leaves, and began to indolently study diseases, generally. I forget which was the first distemper I plunged into – some fearful, devastating scourge, I know – and, before I had glanced half down the list of “premonitory symptoms,” it was borne in upon me that I had fairly got it. I sat for awhile, frozen with horror; and then, in the listlessness of despair, I again turned over the pages. I came to typhoid fever – read the symptoms – discovered that I had typhoid fever, must have had it for months without knowing it – wondered what else I had got; turned up St. Vitus’s Dance – found, as I expected, that I had that too, – began to get interested in my case, and determined to sift it to the bottom, and so started alphabetically – read up ague, and learnt that I was sickening for it, and that the acute stage would commence in about another fortnight. Bright’s disease, I was relieved to find, I had only in a modified form, and, so far as that was concerned, I might live for years. Cholera I had, with severe complications; and diphtheria I seemed to have been born with. I plodded conscientiously through the twenty-six letters, and the only malady I could conclude I had not got was housemaid’s knee.”
[2]Per approfondimenti, suggerisco: https://www.sanitainformazione.it/salute/oltre-l80-degli-italiani-cerca-informazioni-sulla-propria-salute-due-su-tre-si-rivolgono-alla-rete/
[3] Per approfondimenti, suggerisco:
- https://www.aiom.it/il-dottor-google-e-il-piu-consultato/
- https://www.ambimed-group.com/it/il-dr-google-non-e-laureato
- https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/doctor-google-per-il-53-degli-italiani-il-primo-consulto-medico-e-online/
- https://multimedica.it/news/attenzione-a-dottor-google/
[4] Scritto nel 1945. Titolo italiano ‘Vicolo cieco’.
[5] Traduzione mia del passaggio: “Most of them are quacks. Psychologists point out problems, but their solutions are fallacious.”
[6] Per approfonimenti, suggerisco: https://spiegato.com/cose-il-modello-biomedico
[7] Per approfondimenti, suggerisco: https://www.passionepsicologia.org/il-modello-biomedico-e-il-modello-biopsicosociale/
[8] Per approfondimenti, suggerisco:
- https://ecmitalianmr.it/view/dal-modello-Disease-Centred-a-quello-Patient-Centred
- https://admin.allianceforpatientaccess.org/wp-content/uploads/2020/01/AfPA-Patient-Centered-Care.pdf
- https://gh.bmj.com/content/5/12/e003330
- Tanenbaum, S. J. (2015). What is Patient-Centered Care? A Typology of Models and Missions. Health Care Analysis, 23, pp. 272-287.
- Moja, E. & Vegni, E. A. M. (1998). La medicina centrata sul paziente. In ‘Annali di Medicina interna’. Supplemento, 13(1), pp. 56-54.
[9] Per approfondimenti, suggerisco (paragrafo 2, ‘Noi siamo il nostro incontro’): https://materia-grigia.webador.it/1474497_una-farfalla-dalle-ali-circonvolute-perche-la-psicoterapia-funziona-sul-cervello
[10] Per approfondimenti, suggerisco (paragrafo 1, ‘Quia verbum ‘psicoterapia’ equivucum est’): https://materia-grigia.webador.it/1290844_un-hapax-col-ta-am-zigzagante-breve-introduzione-alla-psicoterapia-d-integrazione-strutturale
[11] Per approfondimenti, suggerisco (‘Cos’è la trappola della confluenza?’): https://lamenteemeravigliosa.it/trappola-della-confluenza-guardare-laltro-e-dimenticarsi-di-se/
[12] Il servizio W.W.W., la rete mondiale che permette i collegamenti Internet. Per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/World_Wide_Web
[13] Per approfondimenti, suggerisco (p. 104): https://www.cicap.org/n/files/Enciclopedia_CICAP.pdf
[14] Capitolo 7, pp. 121-143.
[15] Per approfondimenti, suggerisco: https://www.researchgate.net/publication/226947646_Client-Centered_Therapy
[16] Collegamento: https://www.sanitainformazione.it/salute/lautodiagnosi-da-dottor-google-e-pericolosa-il-mmg-riavvicinare-i-pazienti-con-ogni-mezzo/
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