- RABBIA: UN RACCONTO
Greta ed Antonio[1] sembrano molto diversi tra loro. Essi sono diversi per sesso, età ed occupazione; inoltre, incontrando Antonio per la prima volta, probabilmente pensereste che è un tipo instabile e poco raccomandabile, mentre di Greta avreste l’impressione di una ragazza seria ed affidabile.
Greta ed Antonio hanno in comune una visione pessimistica della vita, un’idea molto chiara su come dovrebbero andare le cose, la difficoltà ad usare l’immaginazione, il petto gonfio, il corpo teso e gli occhi da ‘rapace a caccia’.
Greta ed Antonio, pur riuscendo a provare e manifestare tutte le emozioni, reagiscono di base alla vita con una in particolare, la rabbia, ed è per loro difficile accorgersene, anche se spesso glielo si fa notare: entrambi fanno una gran fatica, spontaneamente, per autocontrollarsi, col risultato che la rabbia cresce, fino a esplodere.
Da qui ricominciano le differenze: Antonio, quando esplode, usa parole pesanti, grida, minaccia, lancia e rompe oggetti, per poi, una volta scarico, spaventarsi della propria rabbia e sentirsi male; Greta dice frasi a mezza bocca, usa il sarcasmo e le allusioni, offende in modo tagliente, con aria supponente, per poi sgonfiarsi come un palloncino e, a contatto con quel vuoto, riempirsi di paura.
Greta ed Antonio, durante il loro sviluppo bio-psico-sociale, hanno imparato, senza rendersene conto, che la carta migliore da giocarsi per sopravvivere alla partita della vita – nel dubbio – è la rabbia. Questo ‘attrezzo’ è risultato funzionale nel loro ambiente d’origine, ma quando si sono affacciati a relazioni e sfide diverse, l’uso prevalente e senza senso di realtà di questa emozione è risultato svantaggioso, tanto da ingenerare in loro del malessere psicologico che hanno scelto di affrontare con uno psicoterapeuta.
- RABBIA: UNA DEFINIZIONE
La rabbia è un’emozione primaria.
In quanto emozione[2], essa è una risposta dell’organismo ad accadimenti esterni ritenuti rilevanti (Anolli e Legrenzi, 2012), che comporta modificazioni fisiologiche, cognitive e comportamentali (Schön et al., 2023) volte alla sopravvivenza dell’individuo (LeDoux, 2012). In quanto primaria, è innata e non riducibile (Ekman e Friesen, 1971).
Essa è l’emozione della differenziazione, dell’autostima, della salvaguardia della propria idea del mondo e del proprio spazio vitale – sia fisico che mentale – e, come tutte le emozioni, può essere vissuta sia come positiva che come negativa (Ariano, 2000).
Quando usata costruttivamente, attraverso la riflessione, aiuta ad affermare la propria presenza, senza ricorre alla violenza; quando usata distruttivamente, spontaneamente, essa distrugge in modo fisico e/o verbale l’oggetto dell’emozione (Ceparano e Tisci, 2023, p. 41).
Come tutte le emozioni, la rabbia si manifesta attraverso il corpo, l’immaginazione ed il raziocinio. Corporeamente, essa si manifesta nella tensione generale come di chi si prepari ad uno scatto aggressivo verso l’altro; i piedi ben piantati per terra, la colonna vertebrale raddrizzata, il cuore che accelera, gli addominali che si irrigidiscono, la mascella tesa, il respiro che rallenta, mentre il torace si gonfia e le narici si dilatano, le sopracciglia inarcate, un angolo della bocca tirato indietro a mostrare un canino, gli occhi spalancati a guardare il dettaglio a discapito dell’insieme (Ariano, op. cit.), le spalle sollevate, l’aumento dell’intensità della voce, che risulta tesa e piena (Anolli e Legrenzi, op. cit.) : sono tutte queste stimmate della rabbia.
Ancora, la rabbia si manifesta nel linguaggio fantastico attraverso tutti quei sogni e fantasie nei quali indulgiamo in manifestazioni di rabbia nei confronti di qualcuno: essi rappresentano un’importante valvola di sfogo, volta a tenere sotto controllo i livelli di aggressività in modo da non agirla nella realtà in maniera incontrollata, a patto però di non scaricarla tutta, tanto da non esprimerla in modo sano ed adulto nella realtà (Ariano, op. cit.)
In fine, quest’emozione si manifesta nel linguaggio razionale, quando serenamente spieghiamo le nostre ragioni o chiediamo spiegazioni, in modo chiaro ed argomentato, oppure denigriamo l’oggetto della nostra rabbia in modo infantile (ivi).
Vale quindi la pena di estrapolare dal racconto iniziale due elementi ai quali spesso si rischia di non fare caso:
Mentre la rabbia costruttiva, si manifesta sempre in un modo sereno ma fermo, la rabbia distruttiva può manifestarsi sia nel modo esplosivo fisico e/o verbale al quale si pensa quando si parla di quest’emozione, sia in modo lamentoso[3], passivo-aggressivo[4].
Fra le emozioni primarie, la più vicina alla rabbia è la paura: entrambe rappresentano risposte protettive rispetto all’ambiente (Ganong, 1977), secondo i poli opposti di attacco e fuga.
Non di rado esse si presentano insieme ed una influenza l’altra: pensiamo ad un gatto messo all’angolo da un cane che, in condizione di grande paura, reagisce con rabbia, inarcando la schiena, mostrando gli artigli e preparandosi a difendersi; oppure pensiamo alla paura che può scaturire in una persona irata verso la sua stessa rabbia.
- RABBIA: UN INCONTRO
Per quanto ne so, avere a che fare positivamente con la rabbia non prevede soluzioni magiche e misteriose, né troppo differenti dalle prescrizioni che si hanno per qualunque emozione.
Vale la pena ricordarne alcune:
Prima di tutto bisogna incontrare sé stessi, porre attenzione a sé stessi: se non so come sto, non potrò fare molta strada.
Quando si pone attenzione a sé stessi, bisogna concentrarsi sul ‘qui ed ora’, su cosa sta accadendo e non su quello che ci aspettiamo che debba accadere.
Qui ed ora bisogna fare attenzione al proprio corpo, alle proprie emozioni, alle proprie fantasie, alla propria mente: ognuno può cominciare dal linguaggio che gli è più facile capire.
Se si analizzano i propri linguaggi, bisogna comprendere prima cosa sta accadendo, per poi dare un nome a ciò che sta accadendo: i giudizi vengono dopo.
Quando capiamo ciò che ci sta accadendo, è meglio indagarne gli antecedenti, le possibili ragioni, per poi chiederci se reagiamo di solito allo stesso modo nelle stesse situazioni: a questo punto possiamo giudicare se la nostra maniera di reagire ci piace o meno.
Quando una maniera spontanea di reagire non ci piace, invece di incolpare noi od altri per il fatto che l’abbiamo appresa un tempo, ricordiamo che c’è servita per sopravvivere e che abbiamo quindi dimostrato di avere l’energia per farcela: ora dobbiamo spostarla su comportamenti che ci rendono più sereni.
Quando ricerchiamo i cambiamenti per una maggiore serenità, dobbiamo pensare a cosa vogliamo farcene ora, nel presente per come siamo: dobbiamo passare dalle colpe del passato alle responsabilità del presente.
Più di tutto dobbiamo ricordare che il dolore per la stasi che oggi si traduce nei sintomi che patiamo, è venuto su mattone dopo mattone lungo la nostra storia di vita, e che per poterlo comprendere e superare, dobbiamo passare per un dolore sano – un dolore per la crescita – che necessariamente non potrà svilupparsi e condurci alla conoscenza di noi stessi ed al cambiamento in pochi minuti o con qualche bacchetta magica.
la nostra crescita si incide sulla nostra pelle, come le rughe che solcano il viso, e come loro si imprime in noi, in modo che ciò che guadagniamo non si perda più.
BIBLIOGRAFIA
- Anolli, L. & Legrenzi, P. (2012). Psicologia Generale. Quinta edizione dell’originale (2001). Il Mulino. Bologna.
- Ariano, G. (2000). Diventare uomo: 2. L’antropologia della psicoterapia d’integrazione strutturale. Ed. Armando. Roma.
- Ceparano, G. & Tisci, G. (2023). Differenze nella percezione delle emozioni tra i pazienti oncologici all’avvio del trattamento sistemico endovenoso ed i pazienti nefropatici già in trattamento emodialitico. Topic – Temi di psicologia dell’ordine degli Psicologi della Campania. 2(2), pp. 14-43.
- Ekman, P.; Friesen, W. V. (1971). Constants across culture in the face and emotions. Journal of Personality and Social Psychology, pp. 124-129.[5]
- Ganong, W. F. (1977) Review of medical physiology. Lange Medical publications. Los Altos. Traduzione italiana ‘Fisiologia medica’, a cura di G. Stella. Quinta edizione italiana dell’originale (1963). Piccinin.
- LeDoux, J. E. (2012). Retinking the emotional brain. Neuron. 73: pp. 653 – 676.
- Schön, D; Akiva-Kabiri, L. & Vecchi, T. (2023). Psicologia della musica. Nuova edizione (prima edizione originale 2007). Carocci. Roma.
[1] Nomi di fantasia.
[2] Per approfondimenti, suggerisco: https://materia-grigia.webador.it/1304364_pillole-di-emozioni
[3] Questa modalità mi fa pensare al nomignolo ‘timido iracondo’, attribuito ad un personaggio dell’autore brillante Maccio Capatonda: https://cinema.fandom.com/it/wiki/Il_divano_scomodo
[4] Si ponga particolare attenzione al fatto che un atteggiamento ‘passivo-aggressivo’ non è di per sé patologico: facciamo attenzione alle diagnosi troppo facili. Per approfondimenti suggerisco: https://www.enricogamba.org/psicologo-milano-blog/aggressivita-passiva
[5] Collegamento: http://www.paulekman.com/wp-content/uploads/2013/07/Constants-Across-Cultures-In-The-Face-And-Emotion.pdf
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